"Le Pietre", by Yves Bonnefoy, translated by Fabio Scotto
2003

Ho intitolato " Una pietra " molte liriche sparse nei miei libri di poesia a partire da Pierre écrite, una piccola raccolta di grande formato a tiratura limitatissima che ho pubblicato nel 1958 presso la galleria Maeght di Parigi con, per copie di lusso, delle " ardesie " originali di Raoul Ubac. Il mio amico applicava del colore su delle schegge d'ardesia, una pietra che amava moltissimo e che fu il materiale principale delle sue sculture, poi premeva questi frammenti su dei fogli, ciò dava quelle magnifiche impronte che mi fanno amare quel libro, il mio primo con un artista.

E allora questo lavoro di Ubac non era " una pietra scritta ", era piuttosto "scrivere con la pietra ", ma io sapevo che per Rolf (lo chiamavamo Rolf, era il suo nome originario) i due tipi d'iscrizione erano reversibili, ne era prova il suo interesse per le rune che i suoi antenati nel nord dell'Europa avevano inciso in pietre ruvide quanto la sua ardesia. In entrambi i casi la forma che caratterizza il segno, questa forma che nel caso dei più abili tipografi può raggiungere estreme vette di purezza e far in tal modo pensare ad un Intelleggibile al di sopra del mondo, deve venire a patti con quanto il granito o l'ardesia hanno di specifico, la loro resistenza all'incisione che fa sì che il tratto devii e che il caso si manifesti. Il marmo greco può prestarsi alla forma più elaborata, può permettere al segno di attestare l'Idea nel senso che da Piatone a questa parola, può incitare il filosofo ad allontanarsi dal mondo delle esistenze, supposto vano, per elevarsi verso il " più alto ciclo ". Ma non è quanto permetta l'ardesia, e nel lavoro di Ubac era questa autorità dell'elementare ad esprimersi, rompendo con la grande tradizione idealista del mondo occidentale.

La forma sognata dall'intelletto non è la verità estrema, quella della quale l'esistenza ha bisogno, la nostra riflessione ha il dovere di passare attraverso la meditazione del caso, questa contingenza che decide delle nostre vite e di cui sono figura e richiamo quelle asperità della superficie di certi tipi di pietra. Ebbene, il vero luogo di questa evidenza, l'occasione più profonda che si possa avere di riflettervi, non è data da quelle lastre di pietra che sono le tombe, con le loro iscrizioni spesso incise in modo grossolano in una materia ribelle, nelle quali per di più le parole sono rese poco leggibili dall'erosione che il tempo ha fatto subir loro e dall'invasione delle lettere, degli ornamenti, da parte del muschio?

Grande opportunità, in effetti, perché su quelle pietre tombali, vi è spesso un richiamo di ciò che fu la vita della persona defunta. E ci diciamo: ecco un essere che ha probabilmente voluto dare alla sua esistenza una forma, liberarla dai suoi rischi, dalla sua finitezza, ma quest'ultima gli ha imposto la sua legge per finire, ed è quanto quelle lettere mal distinguibili dalla pietra e lo stato attuale della tomba metaforizzano.

Insomma la tomba, quella pietra nella sua realtà e vita di pietra, dice il vero di ciò che l'ambizione umana vuole ignorare, quel sogno che è in ciascuno di noi. In questo assommiglia alla poesia, non perché questa amerebbe, in modo morboso, la morte, ma perché essa è quanto vuole trasgredire i sogni, dei quali sa che non sono, per quanto seducenti appaiano, che un'astrazione che nasconde la vera presenza delle cose e degli esseri, sola fonte di vera gioia.

Poiché è pietra, la pietra tombale è ciò che favorisce la poesia. Ed è cosi che attraverso gli anni ho preso l'abitudine di ritornare nei miei scritti a quelle " pietre " che permettono d'immaginare le vite che evocano le loro iscrizioni, nel segno di quella verità del tempo che è quanto la poesia deve riconoscere e imparare a far proprio. Conflitti, quelle iscrizioni, tra l'innocenza essenziale e toccante dell'esistenza e ciò che l'esistenza deve pur comprendere.

Questo interesse per la " pietra scritta " mi è venuto a seguito dell'incontro, una prima volta, con le poesie dell'Antologia greca, tra le quali, accanto ad epigrammi amorosi, vi sono di queste iscrizioni, finte ma alcune delle quali avrebbero potuto essere rilevate su una stele del Ceramico, ai margini del grande sogno ateniese. La civiltà greca passa per essere affascinata dalla Forma, l'Intelleggibile, ed è vero che il suo ammirevole alfabeto permette schemi e armonie che il marmo, come dicevo poc'anzi, incita a sognare quasi capaci d'assoluto. Ma sotto questa illusione c'è anche nella coscienza greca del mondo, ed è ciò che le garantisce di accedere alla poesia, l'intuizione che l'Intelleggibile è una parola vana, lo spazio delle essenze una bellezza ma anche un inganno; e che il compito propriamente umano è di riconoscere il suo limite, di meditare la " moira ", immaginando quest'abbondanza di miti la cui molteplicità, le cui contraddizioni ricordano che gli dei stessi non sono altro che un sogno. L'Antologia, nell'apparente modestia del suo progetto poetico, è quindi una grande lezione. Ho voluto intenderla.

Le " pietre " di questo volume sono soltanto alcune di quelle che ho scritto a partire dalla mia collaborazione con Rolf Ubac, nel corso della quale il suo lavoro sul segno aveva incontrato, e d'altronde anche stimolato, questo interesse già crescente per le iscrizioni funerarie. Certe risalgono a tempi più lontani nei miei libri rispetto a La pluie d'été, una poesia piuttosto recente, ma la maggior parte d'esse sono tratte da questa raccolta, nella quale furono per me, come la " pioggia d'estate " del resto, come quell'oscuramento fuggevole della luce, un modo d'intensificare l'amore che per essa nutriamo: la luce, quest'evidenza che è la via. E riunire nove di queste poesie, come faccio oggi, in questa bella occasione, significa cominciare a chiedermi se, tra queste vite che immaginano, brevemente, vi siano delle affinità, e quali. Fabio Scotto le ha tradotte, tutte. Ho scelto le " pietre " che si trovano nel suo "La pioggia d'estate ", il volume che ha pubblicato presso le Edizioni del Bradipo. Le altre sono inedite. Altrettanto inedito è questo progetto di riflettere sulla scelta in quanto tale di queste pagine che presero forma ognuna in un luogo diverso della mia esistenza o del mio pensiero.