"Angelo Garoglio e Medardo Rosso", by Giovanni Romano
2012
Medardo Rosso ha lavorato con molta attenzione sulle riprese fotografiche delle sue opere, fissando il punto di vista ideale, da privilegiare come unico, e tagliando le stampe per montarle in modo da orientare l'attenzione sull'effetto dinamico dell'immagine. Angelo Garoglio si è inserito nell'operazione con un obiettivo opposto: si è avvicinato alle sculture oltre al limite previsto dal maestro, rischiando il particolare irriconoscibile, e ha infranto il tabù del "non girare intorno" alle opere. Inseguendo che cosa? Forse l'attimo segreto in cui la forma si scioglie in "scherzo di luce". Con le fotografie credo pratichi una forma di analisi critica per immagini, e non per parole, che può incidere a fondo nella nostra comprensione dello scultore: chi non vorrebbe saper descrivere la stregata magia della Femme à voilette? Fotografare da vicino le opere di Medardo Rosso è un modo speciale di fruirne il valore poetico senza concedere troppo alle emozioni personali; la macchina fotografica fa da filtro, lasciando che l'immagine rivelatrice emerga per azzardo in un incontro guidato, ma a esito non previsto. È difficile definire il percorso di ricerca di Garoglio, la sua previsione di una forma astratta e seducente che è da sempre nelle cose e attende di essere fatta affiorare: l'ha inseguita a lungo fotografando i magnifici arabeschi delineati dalle piante essiccate dell'erbario Sella al Museo delle Scienze di Torino; l'ha trovata nelle morbide venature delle pietre di cava.
Parlando con Garoglio, un nome che ritorna spesso è quello di Degas, soprattutto per i suoi devastanti ritratti fotografici, più di fantasmi che di persone. Anche Garoglio ha di mira qualche suo fantasma nelle lunghe pose sulle opere di Medardo, con variazioni minime. Non gli piace l'espressione "sequenze di immagini", preferisce "variazioni", e non capisco bene che differenza voglia mettere in evidenza. Forse "variazioni" finisce per sottolineare che l'opera è ferma davanti ai suoi occhi e che mutano solo l'inclinazione dello sguardo, il tempo lungo della posa, il grado di luce, la profondità di campo, l'intervento dei riflessi; "sequenza" comporta forse per Garoglio il modificarsi del soggetto, il suo muoversi nello spazio, mentre il dialogo istituito con le sculture è un tema "da ferma" e tutto il processo di acquisizione è nel lavorio dell'occhio acquattato all'esterno. Salvo pochissime eccezioni, le riprese sono sempre in bianco e nero, per Garoglio "più vicino al disegno che alla pittura", una battuta rivelatrice sul modo di vedere Medardo; si pensi alle lunghe discussioni sui rapporti dello scultore con gli impressionisti, cioè con il mondo del colore, quando andrebbe parallelamente approfondito il rapporto con la fotografia, con il suo potere di fissare l'impressione visiva delle forme; negli anni di Rosso, non ancora l'iridescenza abbagliante dei colori.
L'abbaglio luminoso non fa per Garoglio; il suo è uno sguardo avvolgente, felpato, a luci basse e vibranti, più Rembrandt che Vermeer, con quanto di corrosivo Rembrandt comporta. Il controllo imposto alle proprie doti di pittore ha spinto Garoglio (al di fuori dei lavori su Medardo) verso una singolare serie di interventi sulle pietre di cava, alla ricerca di segni, tessiture cromatiche e vibrazioni luminose che si danno in natura e quindi escludono la scelta espressiva del pittore. Il colore, la traccia significante, la luce vanno trovati nella materia che incontri giorno per giorno e la mano dell'operatore non compie altro gesto che liberarli incidendo, sfiorando, corrodendo la superficie del travertino o del "rosso di Persia". La qualità dell'artista consiste nel presagire queste potenzialità della materia, nel farsene partecipe, come per una intima collaborazione al grande e misterioso linguaggio della creazione, al suo alfabeto nascosto.
Guardando Madame X è fin troppo facile evocare le sculture cicladiche o certe essenziali figurine giapponesi, ed è curioso che in alcune delle riprese esposte questa parentela formale venga esplicitamente in luce. Si può di nuovo parlare di una sottile conferma critica, di una critica "immaginosa", come ho già detto, e ricordare la singolare collezione di antichità di Medardo, di autentici e di falsi, magari realizzati da Medardo stesso: è noto che gli artisti copiano e falsificano per rubare segreti formali a chi ci ha preceduto e le fotografie di Garoglio ci fanno risalire all'origine prima e sottaciuta di certe scelte di Medardo. Non credo che sia giusto lasciarsi troppo convincere dalle tarde boutades dello scultore contro la tradizione dell'antico; erano necessarie nella polemica contingente, ma già il salvataggio delle forme egizie lascia capire la sua opera di selezione verso il passato. Le fotografie di oggi illuminano il problema attraverso un felice cortocircuito tra il linguaggio di Medardo e l'accanimento visivo di Garoglio. Noi siamo abituati a parlarne con il linguaggio della critica, mentre Garoglio si trova più a suo agio con incisive immagini fotografiche da Medardo; parlandone con gli estimatori troverebbe giusto accompagnarle con frasi musicali più che con parole, e si tratterebbe di accordi di radice orientale.