Opere intime, visioni ravvicinate
Monsignor Timothy Verdon, Direttore Museo dell’Opera del Duomo, Firenze
Durante una visita notturna allo studio di Michelangelo negli anni cinquanta del XVI secolo, a Roma, Giorgio Vasari vide lo scultore mentre lavorava nel buio, al lume di una sola candela attaccata al copricapo. Michelangelo era anziano e l’opera a cui lavorava – la Pietà oggi a Firenze, destinata per la tomba dell’artista e contenente il suo autoritratto – era così intima che forse credeva di poterla scolpire senza vedere più dei pochi centimetri volta per volta illuminati dalla candela.
Il presente libro invita a un’esperienza analoga grazie alle fotografie di Angelo Garoglio offrenti visioni ravvicinate sia della Pietà fiorentina che di quella cominciata subito dopo questa, la Pietà detta Rondanini conservata a Milano. Nelle foto di Garoglio emergono in modo del tutto inedito sia la tecnica di Michelangelo che l’impeto interiore che lo guidava in queste sue ultime sculture. Lo straordinario saggio fotografico di Garoglio è infatti la prima ragione d’essere del volume.
La seconda ragione del libro traspare nella sua committenza: esso è voluto dagli stessi musei che oggi conservano le due Pietà, quello dell’Opera del Duomo di Firenze e il Museo del Castello Sforzesco, che hanno entrambi recentemente ripensato la presentazione di queste opere con installazioni museali di grande impatto. Per i due committenti, cioè, le fotografie di Garoglio fanno parte di un globale sforzo interpretativo volto a rendere leggibili queste estreme espressioni del genio michelangiolesco.
È fuorviante però parlare di due Pietà, perché quella oggi a Firenze e quella a Milano sono in realtà due fasi di un unico concetto, un unico impeto creativo, e quando il Buonarroti abbandonò la prima, dopo aver cercato di distruggerla, passò subito alla seconda, praticamente senza soluzione di continuità. Con ambedue ebbe poi simili difficoltà di ideazione e d’esecuzione, sia per l’età avanzata, sia per l’irrequietezza del suo spirito nei diciassette anni in cui sporadicamente tornava ad affrontare questo tema della sua gioventù che ora voleva come segnodefinitivo della sua vita.
Al di là del dramma personale dell’anziano artista, le Pietà tardive interpretano anche l’angoscia dell’istituzione a cui egli era così intimamente legato, il papato, in questi primi anni effettivi della controriforma. L’ancora potente Cristo della Pietà fiorentina fu scolpito mentre a Trento si stilava il Decreto sull’Eucaristia, e quello umiliato della Pietà milanese durante le sessioni conclusive del Concilio, quando le lacerazioni del corpus Christi ecclesiale sembravano ormai insanabili.
Accanto al saggio fotografico di Angelo Garoglio, questo volume offre inoltre alcuni saggi scritti, a firma di noti storici dell’arte, al fine di permettere al lettore di confrontare le ‘testimonianze vive’ fornite dalle immagini con le conclusioni della critica. Lo scopo di questi saggi non è quello di spiegare le fotografie, che parlano da sé, bensì di contestualizzarle nello sterminato mondo degli studi michelangioleschi.
Tra gli obiettivi del volume vi è infine quello di contribuire a ricondurre la storia dell’arte alle opere d’arte: ai capolavori materici da cui scaturisce ogni voglia di conoscenze storiche. Oggi invece prevale la tendenza a considerare gli oggetti soprattutto come elementi di storia del pensiero, in modo particolare nel caso di un artista come Michelangelo, che era anche poeta e intellettuale.
Le splendide fotografie di Angelo Garoglio, insieme ai saggi che le accompagnano, ci restituiscono l’enorme carica sensoria – fisica – che nel Buonarroti innervava la ricerca spirituale, conferendo alle sue ultime opere un carattere adeguato al loro senso, un carattere ‘incarnazionale’. Nelle foto di Garoglio assistiamo infatti al sofferto processo per cui l’anziano Michelangelo fece nascere dal Verbo ricevuto la carne di una creazione nuova.